Pagine

lunedì 13 settembre 2010

Congdon, i crocifissi - secondo Cacciari

Quale Dio in croce?
CACCIARI
Tra male e amore l’uomo-Signore che s’inabissa in terra
Cur deus homo? È forse l’interrogazione dell’arte figurativa dell’Europa o Cristianità, che ha per questo nel Crocefisso il suo topos più estremo. Perché Dio assume questo volto disfatto? Patisce questa morte maledetta? Holbein aveva disegnato ai margini del suo esemplare dell’Encomion moriae di Erasmo un Cristo con il berretto dei folli... Non è follia volersi incarnare? Di fronte a questo mistero si ergono i Crocefissi dei Cranach, le Passioni di un Grünewald, il Cristo deriso di Bosch e il Calvario di Bruegel, il grande Crocefisso del Velàsquez, col capo reclino, il volto coperto dai capelli (come nel Crocefisso 2 di Congdon), la cattura del Cristo di Goya. Ma tra tutte queste immagini la più affine a quelle di Congdon a me pare il Cristo disegnato da Juan de la Cruz: uno scheletrico squarcio, colto dall’alto, dal culmine dell’abbandono. Poiché questa è l’icona del Cristo che Congdon patisce: quella del radicale abbandono.

Di più: egli non dipinge un’immagine, ma il grido dell’abbandono. Quella creatura, i cui tratti vanno disfacendosi, il cui dolore de-liradai limiti della sua carne, per trasformarsi in dolore del corpo del mondo – quella creatura non chiede se è stata abbandonata, ma perché. Perché un abisso si spalanca tra quel corpo appeso e la Maiestas domini? Congdon ha visto un «buco» nel suo Crocefisso: un abisso, appunto. Il Crocefisso non sembra indicare altro che l’abisso. Eppure quale forza straordinaria si sprigiona proprio da questa icona dell’abisso che ci separa dalla Maiestas divina? Come può questo grido che suona di disperazione, apparire come atto di fede e di amore? Osservando la stessa struttura compositiva dei Crocefissi di Congdon è questo il dramma che sconvolge: tutto vi sembra partecipare, la tessitura cromatica è lacerata catastroficamente – eppure, proprio questo parla di anastasis, proprio lo sprofondare nel «buco» di questo «dolore diventato corpo» parla di resurrezione.

Cur deus homo? Nessuno potrebbe reintegrare la ferita se non Dio. Troppo grande è l’abisso che quella ferita ha aperto perché una potenza umana possa salvare. E questo abisso deve far vedere il pittore del Crocefisso. Ma, un tempo solo un uomo, una creatura così ferita, deve voler accogliere la possibile salvezza, l’ad-ventus imprevedibile. Solo un uomo deve voler bere il calice fino all’ultima feccia. E solo un Dio può salvare. Ecco il nodo che deve potersi mostrare in un’immagine sola.