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mercoledì 20 ottobre 2010

Gran Torino

Cominciamo con un riassunto del film, di Beppe Musicco, tratto da Sentieri del cinema.

recensione

«Quella di Clint Eastwood è un’opera che lascia senza fiato. A 78 anni, e dopo Changeling, erano in molti a prevedere che Eastwood avrebbe scelto espressioni più descrittive o si sarebbe ritirato. Noi non conosciamo i piani di Clint per il futuro, ma una cosa è certa: al momento non c’è nessun altro nel panorama cinematografico mondiale in grado di competere con lui, come attore e come regista.
Ambientato nella Detroit che patisce la scomparsa delle case automobilistiche, Gran Torino inizia col funerale di una donna, la moglie di Walt Kowalski. Lui ha lavorato per una vita alla Ford, ha combattuto in Corea e non vuole lasciare la sua villetta con la bandiera che sventola sulla facciata, in un quartiere abbandonato dagli americani e ora popolato di asiatici. Walt è un uomo “tutto di un pezzo”, che non ha bisogno di niente e di nessuno e di certo non cerca di essere accondiscendente: disprezza i due figli maschi, per come hanno educato i loro figli e perché sa che lo vorrebbero in un ricovero, rinfaccia al prete che lo viene a trovare la sua inesperienza di fronte alle tragedie della vita, sembra odiare cordialmente i vicini asiatici, che chiama senza timore “musi gialli”. Quando poi il ragazzo di questi, Thao, cerca di rubargli l’unica cosa di cui sembra realmente orgoglioso, la splendente Ford Gran Torino che conserva con cura maniacale, Walt sembra pronto a imbracciare il fucile usato in guerra e farsi giustizia da solo.
Ma la vendetta di una gang di asiatici sul ragazzino (il furto doveva essere un prova di coraggio per essere ammesso) sposta la canna del fucile di Walt, e la direzione della storia. Il rude Kowalski si alza dalla sua veranda dove è solito tracannare birra e fa la conoscenza coi vicini; impara che non sono coreani ma hmong (che vivono tra Cambogia, Laos e Vietnam), fa la conoscenza con Sue, sorella di Thao. Soprattutto inizia a sviluppare un particolare sentimento nei confronti di Thao, facendosi carico dei problemi materiali del giovane, ma anche introducendolo al mondo dei grandi, dandogli delle prospettive, comportandosi insomma come un padre. Ci sono momenti veramente toccanti e delicati nel film su questo argomento, ma la tragedia incombe. Kowalski non vive nel migliore dei mondi possibili e la ricerca della pace interiore, ben evidenziata nei dialoghi con l’insistente pretino, deve fare i conti con una realtà violenta e disumana, davanti alla quale il protagonista sarà chiamato a scelte che non lasceranno scampo.
La vita e la morte, la gioia e il dolore, il dono di sé: tutto ciò è comprensibile solo nel rapporto, ci dice Clint Eastwood. E tutti abbiamo bisogno che continui a ricordarcelo.»

per un giudizio

Non sono del tutto daccordo con Musicco. Il tema del superamento del razzismo è bello, ma sa tanto di ovvio, di politically correct. Il punto centrale del film è la fine, quando il vecchio si fa uccidere (perché è questo che fa), pur di incastrare la gang che ha stuprato Sue: è giustizia (magari martirio) o (una forma raffinata di) vendetta?
Certo, non lui uccide, ma si presenta alla gang per essere ucciso. Questo lascia un po' di amaro in bocca, per un certo cupo pessimismo che ne trasuda, per una protestantica cristallizzazione nel male, ad onta della insistente presenza di un prete cattolico. Prete che, nel funerale finale del vecchio ammette di avere imparato da lui, come arrendendosi al presupposto, protestante, della insuperabilità del male.