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lunedì 30 gennaio 2012

Chesterton e la crisi moderna


Il "distributismo" con persona e famiglia al centro dell'economia
di Gilberto Castrovilla

ROMA, sabato, 28 gennaio 2012 (ZENIT.org).- “Chesterton & Pound - La persona contro la crisi”. E’ questo il titolo di un incontro che si è svolto il 27 Gennaio 2012 a Roma presso la sede dell’associazione LabCom.
Tra gli intervenuti l’avv. Marco Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana, che ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande.
Lei ritiene che Chesterton abbia qualcosa da dire a proposito dell’attuale crisi?
Sermarini: In effetti sì! Tanto più che Chesterton parte dalla dottrina sociale della Chiesa, precisamente da quella Rerum Novarum che ispirò lui, lo scrittore inglese Hilaire Belloc e padre Vincent McNabb ad elaborare il distributismo, quella teoria sociale e politica che vuole la famiglia al centro della società, protagonista dello sviluppo sociale ed economico della propria terra, proprietaria almeno della sua casa e di ciò che gli necessita per vivere liberamente, intraprendente in campo economico con piccole imprese, costruttrice di novità. Una teoria equidistante da capitalismo e socialismo...
In che senso?
Sermarini: Nel senso che lei può leggere con chiarezza nel brano che le cito, estratto da Il profilo della ragionevolezza, una delle opere fondamentali per chi vuole conoscere il pensiero distributista di Chesterton, pubblicata per la prima volta da Lindau pochi mesi fa: “Il capitalismo e l'affarismo, nei loro recenti sviluppi, hanno predicato l'espansione degli affari anziché la conservazione dei beni personali; nel migliore dei casi hanno tentato di travestire il borsaiolo attribuendogli alcune virtù del pirata. Quanto al comunismo, corregge il borsaiolo solo vietando le borse e le tasche”. Mi sembra abbastanza chiaro...
In altre parole?
Sermarini: Chesterton ed i suoi amici sostenevano che capitalismo e socialismo fossero due lati della stessa medaglia e che comprimessero la libertà e il corretto sviluppo di uomini e società. Essi pensavano invece che una società armoniosa può sussistere solo a patto di ripristinare l’ordine tradizionale, cioè quello che vede la famiglia proprietaria di casa e terra, in un certo senso economicamente autonoma sulle proprie gambe, esercente attività imprenditoriali in cui i protagonisti non siano “dipendenti” ma cooperatori della stessa vicenda sociale. In un certo senso è il tentativo di ristabilire oggi ciò che aveva costruito la civitas christiana ossia l’ordine sociale medioevale. Dice infatti Chesterton: “Man mano che ciascun gruppo o famiglia si riapproprierà dell'esperienza reale della proprietà privata, diventerà un centro di influenza, una missione”. Possiamo dire che Chesterton riprese le mosse dei grandi santi medioevali da San Benedetto da Norcia a San Tommaso d’Aquino. Circa l’autonomia degli uomini nel lavoro ecco cosa diceva: “La nostra società è così anormale che l’uomo normale non sogna mai di avere la normale occupazione di occuparsi della sua proprietà. Quando sceglie un mestiere, sceglie uno dei diecimila mestieri che comportano l’occuparsi della proprietà dell’altra gente”.
Ma oggi tutto ciò le sembra possibile?
Sermarini: l’esperienza più compiuta del distributismo attualmente esistente è la cooperativa Mondragon in Spagna, che basandosi su questi principi ha costruito un’impresa ricca di migliaia di collaboratori artigiani e tecnici nei più disparati e complessi campi. Più in piccolo posso dire che anche in Italia c’è chi sta organizzandosi: dalle mie parti, nelle Marche, abbiamo dato vita ad una scuola media e superiore totalmente libera che si regge su chi la fa, conta sulla collaborazione delle famiglie coinvolte e dei ragazzi stessi, oltre che ad un sistema di aiuto reciproco tra famiglie che spazia dall’educazione dei figli al lavoro ed anche al sostegno finanziario.
E Chesterton cosa ha a che fare con Ezra Pound?
Sermarini: I due scrittori sono contemporanei (Pound era di una decina d’anni più giovane di GKC), si conobbero e frequentarono, condivisero parte delle loro idee seppure partendo da presupposti differenti ed arrivando ad esiti altrettanto differenti: l’idea che il capitalismo come il socialismo fossero sistemi problematici e di per sé malsani, l’idea di lottare contro la grande usura, l’idea che la persona possa avere le possibilità di lottare per ciò in cui crede. Per Chesterton le sue idee sociali e politiche (che crearono ai suoi tempi un certo movimento culturale e sociale in cui furono coinvolti tantissimi giovani) erano figlie della Chiesa Cattolica e miravano ad edificare la Chiesa e la vera libertà dell’uomo nella società.

martedì 17 gennaio 2012

"Per Sempre", l'ultimo libro della Tamaro, dove l'amore tocca credenti e non

"Per Sempre"
L'ultimo libro della Tamaro, dove l'amore tocca credenti e non

di Titti Del Greco

ROMA, sabato, 14 gennaio 2012 (ZENIT.org).-“Per sempre”, edito da Giunti, è l’ultimo capolavoro di Susanna Tamaro, triestina, classe 1957 diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. La trama: Nora è morta da 15 anni, e Matteo, un medico affermato, s’interroga in modo ossessivo su quale possa essere il percorso da intraprendere dopo la perdita di sua moglie, suo figlio Davide, e la bambina in grembo a sua madre. Un viaggio denso di sentimenti tumultuosi e contrastanti: amore e dolore, ricordi che ritornano dal passato e che fanno da cornice a tutte le domande che un uomo, imbrigliato in un lutto così efferato, si pone. Matteo, da anni, si ritira spesso in un paesaggio naturale molto suggestivo, dove vive le sue intense riflessioni delineando i protagonisti passati e presenti della sua vita in un back round che spesso sfiora la lirica. Appare sconcertato da quanto accaduto, e non smette di raccontarsi e di vivere mille volte la sua storia intensa e dolorosa entrando, come Giobbe, in un dialogo intimo con Dio.
Appare evidente fin dalle prime pagine che l’autrice già nota per il grande successo “Va dove ti porta il cuore”, un bestseller che ha venduto più di 14 mila copie in tutto il mondo, creda che le relazioni più profonde, abbiano impresse una sottile valenza di eternità e questa è un’esperienza che viviamo un po’ tutti quando ci capita di imbatterci in una qualsiasi passione… E' come se percepissimo una sorta di naturale esigenza di infinitezza propria dell’animo umano... qualcosa di molto misterioso che sembra essere impresso nella nostro “io ontologico” e che viene a sussurrarci la frase: io voglio amarti per sempre.
Ma soffermiamoci sul protagonista: ciò che si snoda intorno a Matteo sembra richiamare la storia del giusto perseguitato. Matteo vive la felicità di un attimo con Nora e suo figlio Davide ma solo dopo pochi anni, in attesa del secondo figlio perde tutto… La tragedia irrompe nella sua vita a causa di un banale incidente (si parlerà anche di suicidio ma la realtà è che Nora si è schiantata a causa di un aneurisma cerebrale) e in un attimo tutto finisce e nulla più sembra avere senso.
Matteo è l’uomo dei dolori, si interroga , non capisce perché lo scenario della sua mente è completamente stravolto e lui, in prima battuta, si sente catapultato in una sorta di cieco e pagano fato verso una destinazione senza meta, dove ogni sorta di orizzonte appare compromesso. E dovrà fare un lungo cammino di discesa , dovrà sprofondare nell’abisso del dolore (Kenosis) e del non senso prima di recuperare se stesso e la sua più profonda ragione di esistere.
Matteo soffre ma non si ribella e, adesso più che mai, ama ritirarsi in un luogo solitario con una morfologia paesaggistica spettacolare che ne fa da sfondo…..in un impenetrabile nascondimento tra le bellezze del Creato, luoghi molto cari anche all’autrice dai quali si è ispirata per scrivere il romanzo…in una atmosfera - ci ha detto in un’intervista –dove ama camminare in solitudine, immersa nei suoi pensieri per ragionare, riflettere, farsi sorprendere da tutto ciò che la circonda, tra azione e contemplazione, esercitando perfettamente le qualità di Marta e Maria dei Vangeli!
Ma il percorso di Matteo, visto che neppure in ebraico la parola “caso “ non esiste, è una sorta di pellegrinaggio legato ampiamente al credo cristiano e il romanzo che è stato pensato in tale prospettiva , porta con sé tematiche forti . Infatti , se lo analizziamo a fondo, ci accorgiamo che la morte rappresenta proprio il suo filo conduttore. E questo, secondo la Tamaro, perché la morte è il più grande tabù dei nostri giorni. Se guardiamo le cose da un punto di vista antropologico,ci accorgiamo che si vive come se la morte fosse radicalmente bandita. Una sorta di alienazione collettiva tipica di questo mondo capitalista, globalizzato, solipsista, relativista permea il sociale : i più forti si ubriacano con la rincorsa al potere, alla fama, al successo, i più deboli con alcool e droghe di ogni genere. Secondo la Tamaro, invece, se non si affronta il grande mistero della morte non appare praticabile alcun percorso spirituale. “Nessuna indagine, nessuna interrogazione profonda - ha affermato con forza in più di una circostanza - può sussistere senza un’attenta indagine di finitezza”!
Saranno necessari anni di isolamento e di errori perché Matteo, ripeto, tra solitudine e scelte folli , deserti impraticabili e silenzi interminabili si rimpadronisca di se stesso e di tutto ciò che gli è rimasto e che continua a vivere intorno a lui: il padre Guido, il lavoro da medico, il suo piccolo rifugio in montagna, gli amici, l’ergoterapia, lo “sprofondamento “ tra le cose del creato; tutte risorse che, pian piano, ridoneranno senso al suo quotidiano.
Matteo vincerà la sua crisi quando, dal pensiero solitario, ricomincerà a percepire la speranza e a capire che adesso è necessario uscire dalla chiusura in se stesso che lo aveva blindato nel suo ego, per tornare a credere che l’uomo, nel senso più alto, si realizza solo attraverso la relazione e che l’amore rappresenta la via per il compimento di tale traguardo.
Anche il papà di Matteo, Guido è una figura portante del romanzo. Forse ne rappresenta proprio il fulcro forse perché nel pensiero dell’autrice c’era l’idea di restituire forza e dignità alla figura maschile che vive una crisi odierna senza pari.
Guido, cieco e solo apparentemente debole, morirà lasciando una commovente lettera al figlio quale preziosissimo testamento spirituale. Anche questo dettaglio procurerà in Matteo una sorta di spinta a rinascere dal fondo perché sarà il momento della presa di coscienza di “un amore unico e speciale – sostiene la Tamaro - che accoglie, che genera e continua a generare chi si è generato, di un riscatto, di una vera trasfigurazione.
“Per sempre” è un capolavoro dell’amore in un vivere cristiano, è una storia intessuta con la forza di chi crede, come la Tamaro, in valori che sono eterni, è un romanzo che tocca credenti e non perché, ripeto, tutti vorrebbero amare “per sempre”!
Ma è anche un monito per le coppie moderne che si stancano troppo presto di amare, per tutti coloro che hanno paura di amare, e viene a ricordarci che, chi ama deve necessariamente compromettersi.
“Per sempre”, infine, è anche la storia di una tragedia che si compie, di uno sprofondamento disperato del protagonista che, però, sottende un capovolgimento di prospettiva, un impercettibile squarcio di luce che si fa sempre più tangibile e che lascia trapelare che esiste una ineluttabile speranza rivoluzionaria: dentro ogni uomo vive una scintilla divina che, puntualmente, riemerge.