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lunedì 20 febbraio 2012

L'arte come scintilla del divino

La fede cristiana nelle forme dell'arte
di Giuseppe C.M. Cassaro, S.D.B.
Professore di Teologia Dogmatica
e Vice Preside dell’Istituto Teologico S. Tommaso di Messina

ROMA, martedì, 14 febbraio 2012 (ZENIT.org).
Nell’arte è custodita un’allusione al divino e al paradiso: è questa una stupenda intuizione che N.V. Gogol espresse nel suo racconto Il ritratto del 1835, ma è questo anche uno dei tanti comuni e banali asserti che si ripetono, forse per assuefazione accademica o con ironica accondiscendenza. Si dimentica così che l’arte come scintilla del divino è una conquista della visione biblica della realtà: laddove la prospettiva del pensiero antico riconosceva nella bellezza una qualità dell’essere, la rivelazione biblica scopre un gesto personale di Dio creatore, che con gusto artistico dissemina nel cosmo le sue vestigia.
Atanasio, con sguardo estatico, vede nel mondo creato l’impronta della sapienza divina: «Ma se il mondo è stato organizzato con sapienza e conoscenza ed è stato riempito di ogni bellezza [διακεκόσμαται], allora si deve dire che il creatore e l’artista [διακοσμήσαντα] è il Verbo di Dio» (Oratio contra gentes, 40, in: PG, 25, 79-80D). Dio come artista precede ogni artista umano, che con i suoi strumenti aggiunge una pennellata di bellezza a questo mondo splendido, in cui la Sapienza ama trastullarsi accanto ai figli degli uomini (cfr. Sir 24,3-11; Gv 1,3.14).
Un’interessante dibattito si è innescato recentemente a partire da questi argomenti a proposito del nuovo Fonte battesimale, creato dall’Architetto e Designer Alberto Cicerone sotto la guida del Teologo Don Salvatore Vitiello per le celebrazioni nella Cappella Sistina. Ci si chiede infatti se l’arte sia capace non solo di rimandare genericamente al divino, ma possa in verità servire la fede della Chiesa nella sua vita liturgica.
Sembra superfluo ricordare che la produzione artistica si fa segno autentico del divino non per un suo vuoto sforzo di teoresi, ma nella misura in cui essa riesce a parlare di Dio, e in questi termini offre già un servizio ottimo al cammino di fede dell’uomo. Ma c’è da aggiungere che il ministero dell’arte non è affatto una soggezione che ne svilisce l’originalità, né la Chiesa si arroga un’autorità che definisca canoni e modalità espressive: al contrario «la Santa Madre Chiesa è stata sempre amica delle arti liberali ed ha sempre ricercato il loro nobile servizio» (Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 122).
Questa amicizia, che si potrebbe a buon diritto definire alleanza, ha come obiettivo eccellente un servizio a Dio e all’uomo, in una felice circolarità che non sminuisce nessun autentico valore umano, esaltando al contrario tutto ciò che di bello e di buono l’uomo è in grado di produrre, nel solco di quella creatività che tanto lo avvicina al Creatore-artista. Non esiste infatti  niente di «genuinamente umano che non trovi eco nel cuore» dei discepoli di Cristo (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 1): così ogni valore artistico di cui l’uomo è capace è di per se stesso una scintilla di vangelo, e per questo motivo appartiene anche all’indole del cristiano.
Il nuovo Fonte Battesimale è espressione artistica del nostro tempo e prodotto di uno sforzo di riflessione sullo spazio legittimo tra arte e liturgia operato nel Master in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Università Europea di Roma e l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
La forma innovativa non ha un riscontro nell’iconografia storica del fonte cristiano, ma si presenta come un segno gravido di rimandi biblici e liturgici e capace di parlare anche all’uomo di oggi, che in gran parte ha perduto i codici simbolici cristiani, ma sa ancora decriptare un messaggio iconografico che parli il linguaggio dei segni naturali.
La struttura è molto semplice, costituita da tre elementi, che finemente lavorati definiscono una composizione che attrae lo sguardo. La pietra calcarea funge da base alla struttura: essa è solcata da profonde incisioni, le quali tuttavia non richiamano la mano dell’uomo che lavora la roccia, ma l’azione del tempo, che modella le forme naturali in anatomie che parlano di storia eterna.
Nella pietra affonda le radici il bronzo dell’albero che la sovrasta: è un olivo giovane, ma già segnato da un suo percorso di vita che disegna il fusto contorto e slanciato verso l’alto, dove le ricche fronde, sempre verdi e abbondanti esprimono l’esuberanza dell’energia vitale che lo percorre, e dove sono nascosti ventiquattro frutti, che fanno corona alla sfera che si trova nel cuore della chioma. Viene da chiedersi se la rilucente sfera sia adagiata sui rami dell’olivo, oppure sorga proprio da quel tronco attorcigliato: la simbologia solare è tuttavia evidente, e risplende nella luce dell’oro di cui è rifinita. La sfera è cava, e si apre a metà, lasciando scoprire al suo interno l’alveo dell’acqua rigeneratrice del battesimo.
Cristo, sole nascente dall’alto (Lc 1,78; cfr. Liturgia delle Ore, Invocazioni alle Lodi mattutine della II domenica del salterio) siede in trono sull’albero della vita. In lui luce del mondo (Gv 8,12) sono immersi gli uomini per essere illuminati (Ef 5,14) e rinascere dall’alto (Gv 3,3.7), e diventare a loro volta luce (Mt 5,14; Gdc 5,31) in questo mondo immerso nelle tenebre, che attende un raggio di speranza.
Cristo è ad un tempo il volto di Dio e il volto dell’uomo su cui risplende la bellezza e la potenza del sole (Ap 1,16): avvicinarsi a lui, entrare nella fonte che lui apre nel proprio costato, equivale ad entrare nella sua orbita e lasciarsi trasformare dalla sua forza divina in un’umanità nuova, capace di contenere, senza rimanerne schiacciata, tutta la pienezza di Dio (cfr. Es 33,23; Gdc 13,22). Di questo sole è rivestita Maria (Ap 12,1), prima e perfettamente redenta, donna trasformata dalla grazia, madre di tutti i viventi che da quel sole attingono la loro energia vitale; di questo sole si veste anche la Chiesa (Ap 12,1; 22,5), splendente della luce del suo Signore (Preconio pasquale).

 Israele, nella vitalità che la misericordia di Dio gli dona, sanandolo dalle sue infedeltà, possiede la bellezza dell’olivo verdeggiante (Os 14,7), e fonda la propria giustizia solo nella fedeltà di Dio alle sue promesse (Sal 52[53],10), nel suo affetto e nel suo cuore paterno che non dimentica l’alleanza di pace.
Questo olivo è il popolo che Dio si è scelto, la radice santa su cui sono innestate tutte le genti per mezzo della fede (Rm 11,11-24), ma solo in virtù della linfa vitale che gli deriva dalla radice vera dell’albero di vita che è Cristo stesso (Ap 22,16; Is 11,10; Gv 15,4-5). Egli è la radice cresciuta in terra arida (Is 53,2), nata sulla roccia senza vita della nostra umanità perduta. In virtù dell’offerta che il Figlio fa di se stesso sulla croce sgorga il fiume vivificante, sulle cui sponde crescono gli alberi sempre verdi e ricchi di frutti (Ez 47,1-12; Ap 22,1-2). Egli è ancora il nuovo albero della vita, che viene restituito ad Adamo dopo la riconciliazione (Ap 2,7; 22,14): nel legno della sua croce rifiorisce la vita che il peccato aveva spento.
Dio stesso è la roccia sicura, difesa e gloria del suo popolo (Dt 32,4; 1Sam 2,2; Sal 18[19],3; 31[32],3; Is 26,4), una roccia viva che genera Israele (Dt 32,18), e che si spacca, si apre per far scaturire acqua di vita (Es 17,6; Ger 2,13; Gv 4,10). I discepoli di Gesù riconoscono che egli era la roccia che nel deserto dissetò Israele (1Cor 10,4), quella roccia spirituale che ancora oggi continua ad aprirsi per donare l’acqua viva dello Spirito, anzi per far sgorgare le sorgenti di quest’acqua nel cuore degli stessi credenti (Gv 7,38), che battezzati in lui, diventano per mezzo di lui tempio dello Spirito di Dio (Ez 36,26).
Cristo è la piccola pietra che solo in apparenza è insignificante (Dn 2,34-35), una pietruzza che “si stacca dall’alto”, senza intervento di mano d’uomo: è Dio stesso che la invia per l’uomo, per poter ricostruire tutto secondo il progetto di Dio (Mt 21,42; At 4,11; Ef 2,20): i costruttori infatti l’hanno scartata, ma Dio vuole che diventi basamento di costruzione per la casa nuova dell’umanità nuova, contro la quale nessun attacco potrà portare distruzione (Mt 7,24-25). In lui anche i discepoli sono resi pietre vive, per la costruzione del tempio santo dove Dio desidera abitare in mezzo agli uomini (1Pt 2,4-5).
Questo breve e sintetico excursus che analizza la simbologia artistica in riferimento a quella biblica mostra come il messaggio sotteso dal linguaggio del Fonte battesimale utilizzato nella Cappella Sistina è duplice: ci parla di Dio e dell’uomo, parte sempre dal creatore per giungere alla creatura umana.
Ci dice come la realtà dell’Incarnazione e della Pasqua di Cristo non sia una semplice rivelazione di qualcosa di misterioso, ma una rivelazione misterica, invita cioè gli uomini a entrare dentro il mistero, a prendere parte da protagonisti alla storia della salvezza. In quel fonte comincia una vita nuova, che non avrà fine, e che segnerà per sempre la comunione tra Dio e l’uomo, in un’alleanza sponsale che nessuna forza potrà mai spezzare. Attraverso quel grembo la creatura umana accede nell’intimità di Dio e diventa come lui, partecipando al suo dono di vita, assumendo in sé il suo essere, e transumanando.
Il fonte trova collocazione nell’ambito delle celebrazioni che si svolgono nella Cappella Sistina, che con la sua sinfonia di affreschi fa da sottofondo alla liturgia celebrata dal Santo Padre. Se non si dà una corrispondenza sincronica o puntuale della triplice simbologia nel contesto iconografico della Cappella, molti rimandi allusivi ci consentono di trovare una sorprendente consonanza che illumina il linguaggio artistico.
Se alcuni particolari della creazione di Eva e del peccato originale, che si trovano nella volta, ci possono mettere sulle tracce dell’albero della vita secondo un’interpretazione tutta michelangiolesca, tuttavia è la simbologia solare che risalta immediatamente, ed anzi è la più evidente per la sua collocazione proprio sopra lo spazio celebrativo dell’altare: Cristo possente, attorno al quale, nel giudizio universale, si muovono tutti gli altri personaggi. È lui il centro della storia, quel sole di giustizia che sorge dall’alto, e che Michelangelo ha rappresentato nella sua aurora definitiva, la luce dorata che lo incornicia alle spalle, e che abbraccia anche Maria seduta alla sua destra.
Ci chiediamo se sia legittima la pretesa di aggiungere una nuova componente artistica in un contesto di così alto valore come la Cappella Sistina. La risposta è ancora una volta banale, ma non per questo meno vera: in momenti diversi della storia ed anche con contributi differenti la Cappella è stata arricchita.
Anche la mano degli artisti del nostro tempo ha diritto a partecipare a questa sinfonia che comprende consonanze e dissonanze di mirabile bellezza: «La Chiesa non ha mai avuto come proprio uno stile artistico, ma, secondo l’indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura.
Anche l’arte del nostro tempo e di tutti i popoli e paesi abbia nella Chiesa libertà di espressione» (Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 123; cfr. Ordinamento Generale del Messale Romano, 3a ed., 289; Caeremoniale Episcoporum, 37). Nel suo contributo, che per certi versi ha anche il pregio di mantenersi umile, al contesto liturgico e artistico, il fonte parla il linguaggio della fede, quello della bellezza comprensibile e ricca di dignità, e con la sua originalità, concorre alla composizione del momento celebrativo senza sminuire, anzi esaltandola attraverso i riflessi, lo spessore della simbologia tradizionale che gli sta intorno.
Pare proprio che teologia ed arte possano tornare a dialogare.

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