Una mostra e un convegno celebrano l’opera dello scrittore russo. Un’occasione inaspettata per un centro culturale cattolico e una fondazione ebraica
Torniamo ancora una volta su Vita e destino di Vasilij Grossman. Molti di noi l’hanno avuto tra le mani quest’estate. Magari qualcuno ha ceduto le armi prima della fine, sopraffatto dalla mole e dalla complessità; qualcun altro si è commosso per una delle mille storie che compongono la trama del romanzo. I più tenaci hanno portato a termine la lettura, altri conservano solo il ricordo di qualche luminoso brandello. Tutti abbiamo capito che il romanzo di Grossman è una miniera dai mille filoni diamantiferi. E vorremmo capire meglio e di più.
Un passo fondamentale nella comprensione lo si può fare andando a Torino. Fino al 26 febbraio resta aperta la mostra organizzata dal Centro culturale Frassati e dalla Fondazione Arte Storia e Cultura Ebraica di Casale Monferrato, presso il Museo Diffuso della Resistenza di corso Valdocco. Gli stessi che hanno anche promosso un convegno internazionale, svoltosi lo scorso 12-13 gennaio. Solo tre spunti per invogliare a continuare la ricerca nella miniera di Vita e destino.
Itinerario alla positività
Appena si entra nella sede della mostra ci si trova di fronte alla ricostruzione della famosa “casa 6/1” e un video tuffa il visitatore nella vicenda che ha come protagonisti il generoso capitano Grekov, il soldatino Serëza e la telegrafista Katja. I due giovani si innamorano, ma la ferrea legge della gerarchia assegnerebbe la ragazza al comandante. Il quale però… Inizia così il filo rosso di uomini che compiono gesti che ogni calcolo puramente “logico” farebbe escludere; gesti di bontà inattesa, di libertà apparentemente controproducente, di razionalità che eccede il buon senso. Un filo rosso fisico conduce poi il visitatore su per le scale fino alla mostra e prosegue su ogni pannello. Cosa rappresenta quel filo rosso? È l’idea interpretativa forte che ha animato gli organizzatori: la storia umana, qualsiasi storia umana anche la più tragica (e quella raccontata da Grossman - la battaglia di Stalingrado, le violenze speculari dei totalitarismi - è tra le peggiori che siano occorse all’umanità), è un itinerario che apre misteriosamente a una positività ultima. Lo intuiscono i personaggi del romanzo, quando non si rassegnano a perdere la propria dignità di fronte alla sopraffazione, quando non accettano che la menzogna sia l’ultima parola. Lo ha intuito e vissuto lo stesso Grossman, quando ha voluto scrivere queste pagine e consegnarle ad amici perché le salvassero dalla condanna decretata dal Kgb; la rocambolesca vicenda del manoscritto è raccontata al termine della mostra in un bellissimo video.Recupero della memoria
Secondo spunto. Ha colpito molti dei relatori stranieri che mostra e convegno fossero organizzati congiuntamente da un centro culturale cattolico e da una fondazione ebraica. Certamente il fatto che Grossman fosse ebreo è una ragione. Ma le cose stanno più in fondo. Claudia De Benedetti, anima della fondazione ebraica di Casale, è entusiasta dell’iniziativa. Dice che è fondamentale per le giovani generazioni (settore di cui si occupa come Consigliere nazionale dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane) il recupero della memoria. Non un recupero statico né, tanto meno, rivolto al passato. La memoria, infatti, è solida base per proiettarsi al futuro: nell’umanità di chi ha sofferto senza rinnegare la propria dignità sta una saldo fondamento per costruire. Nessuna difficoltà nel fare una iniziativa del genere con un gruppo cattolico? Nessuna, risponde; anzi, è l’inizio di tante altre cose che si possono fare insieme. Ha addirittura in mente di portare la mostra a Gerusalemme ed è tanto convinta del valore di questa collaborazione che racconta divertita e compiaciuta di quel relatore inglese che le ha chiesto: «Lei è della fondazione Frassati di Casale?». Nel lapsus che ha confuso il centro culturale cattolico torinese con l’organizzazione ebraica casalese da lei guidata intravede il simbolo di una unità che deve proseguire.Viaggio di un manoscritto
Terzo spunto. A metà della tavola rotonda finale, chiede la parola il vecchio professore russo Sarnov; dice che per loro Vita e destino era stato come un raggio di luce nel grigiore sovietico, ma il manoscritto venne sequestrato e fu «come se avessero strozzato Grossman e la nostra speranza». Poi vennero a conoscenza che il manoscritto era giunto in Occidente. Allora la speranza rifiorì. Ma nessuno voleva pubblicare il romanzo e fu «come se avessero strozzato Grossman per una seconda volta». Poi Sarnov si arresta, si volta verso il tavolo dei relatori, dove siede Vladimir Dimitrieviã che ha pubblicato il romanzo nel 1980, e dice: «Ma c’è stato un uomo che ha avuto il coraggio di stampare Vita e destino e io - addita Dimitrievic, trattenendo a stento le lacrime - vorrei ringraziarlo». Spontaneamente tutti i convegnisti applaudono. E tu pensi che razza di esperienza di libertà è stato per migliaia di persone imbattersi in Vita e destino. E ti viene voglia di rileggerlo.Tratto da Tracce N.2, Febbraio 2006