La loro presenza negli affreschi del Buonarroti nella Cappella Sistina
di don Marcello Stanzione
ROMA, giovedì, 20 settembre 2012 (ZENIT.org).- Michelangelo appartiene a un gruppo di artisti rinascimentali di estrazione sociale medio - alta. Discendente da un’antica famiglia fiorentina, molto potente nella seconda metà del Trecento e poi decaduta per difficoltà finanziarie, è dotato di un genio artistico che supera il proprio tempo. Nato nel 1475 a Caprese nella Valtiberina e morto, quasi novantenne, nel 1564 aRoma, nella sua casa presso il foro di Traiano, Michelangelo è un artista perennemente attanagliato da dubbi, oppresso, soprattutto nella maturità, da un’invincibile insoddisfazione per il proprio lavoro.
La sua vita, dibattuta ai principi tra l’adesione ai principi della cultura umanistica e un forte moralismo, appare un esempio insigne di artista “saturnino”, grande e solitario, tormentato e geniale. La sua longevità e la sua versatilità hanno contribuito a collocarlo nell’empireo delle grandi personalità di ogni tempo. Personificazione dell’artista artefice – secondo l’ideale albertiano – poeta e intellettuale, pittore, scultore e architetto, celebrato già dai contemporanei, realizza la definitiva sconfitta dell’arte come Mimes – o imitazione – a favore di un’estetica soggettiva, in cui il motivo della forza creatrice diviene l’idea principale dell’opera. La sofferenza interiore, la sua profonda melanconia, gli è data dalla consapevolezza della distanza inconciliabile tra la storia dell’umanità, che appare maestosa anche nel peccato, e l’imperscrutabile disegno divino.
La Cappella Sistina, nei palazzi vaticani, ospita il capolavoro della pittura di Michelangelo Buonarroti. Quando Papa Giulio II decide di rinnovare la decorazione della cappella (la grandiosa volta, circa 800 metri quadrati, era in precedenza semplicemente tinteggiata di blu con stelle dorate) affida l’incarico a Michelangelo, che dà inizio al suo monumentale lavoro il 10 maggio del 1508. Abbandonando gli schemi decorativi della tradizione a lui precedente, il pittore realizza una composizione architettonica che abbraccia l’intera volta e che si fonde con la narrazione pittorica delle storie del vecchio testamento. Il ciclo iconografico inizia dal fondo della cappella e termina sulla porta d’entrata. L’ordine di esecuzione degli affreschi è, quindi, inverso a quello dello sviluppo cronologico delle storie.
La decorazione si articola su tre piani. Nelle lunette sono rappresentati gli antenati di cristo fino ad Abramo. Nelle vele e nei pennacchi sono disposte le figure dei veggenti, Sibille e Profeti. La parte centrale della volta è divisa in nove pannelli. Dio separa la luce dalle tenebre, Dio crea il Sole e la Luna e le piante della Terra, Dio spartisce le acque e crea i pesci e gli uccelli; La creazione del primo uomo, La creazione di Eva, Il peccato originale e la cacciata dal paradiso terrestre, Il sacrifico di Noé, Il diluvio universale e l’ebbrezza di Noé diverranno studi obbligati per i pittori che soggiornano a Roma e saranno divulgati dagli incisori più famosi.
Profondamente provato dalla fatica della sua titanica impresa, Michelangelo la porta a termine alla vigilia della festa di Ognissanti, il 31 ottobre del 1512. Il papa benedice ufficialmente l’opera alla messa celebrata in onore della Vergine Assunta, cui la cappella è dedicata. Gli affreschi della volta, che costarono al pittore molti anni di studi e di ricerche iconografiche, ebbero certamente una complessa preparazione. Ma la gran mole dei disegni preparatori del ciclo venne distrutta in seguito dall’artista stesso, che odiava mostrare la genesi della sua opera. Questo spiega la rarità di tali testimonianze grafiche, che non arrivano alla dozzina. Un quarto di secolo dopo la commissione della volta, nel 1534 Michelangelo viene incaricato dal papa Clemente VII de’ Medici, poco prima della morte, del a decorazione della parete di fondo della Cappella Sistina. Il nuovo papa, paolo III Farnese, conferma subito la commissione.
Murate le due finestre della parete e abbattuto l’affresco con l’Assunzione del Perugino dietro l’altare, Michelangelo inizia il Giudizio Universale l’8 novembre 1535. Nel pieno degli anni della Riforma e della vasta diffusione del protestantesimo,la Chiesa romana affida al genio pittorico di Michelangelo il compito di redimere le anime dei fedeli. Il Giudizio, è l’espressione del cattolicesimo spiritualizzato, in cui la terribile realtà del dies irae emerge da una grandiosa scienza in movimento, Una folla di personaggi ignudi ruota attorno alla figura centrale del Cristo, che con l’ampio gesto delle braccia esprime dinamismo e potenza. La Vergine, in segno di compassione, volge il viso verso i resuscitati in attesa di giudizio. Sulla parte sinistra dell’affresco il movimento ascensionale dei corpi illustrala Resurrezione; sulla destra è rappresentata la caduta dei dannati, che vengono trasportati da una barca guidata da Caronte verso l’inferno, ispirata dalla Divina Commedia. Nelle due lunette in alto gli angeli mostrano i simboli della passione di cristo; la croce, la corona di spine e la lancia con la spugna imbevuta di aceto. Al centro, verso il basso, un altro gruppo di angeli suona le trombe per destare i morti.
Nella severa ideazione del Giudizio Universale si riflette lo stato d’animo dell’autore, sempre più angosciato, nel periodo di composizione del ciclo di affreschi, per la salvezza della sua anima. Dopo il declino della fiducia umanistica nella libertà dell’uomo, dopo il sacco di Roma e il crollo dell’immunità della città santa, dopo la scissione della Chiesa a opera dei protestanti, Michelangelo esprime nella parete della Cappella Sistina la sua profonda crisi religiosa e morale. L’umanità eroica e vincente, superba nel suo peccato, viene giudicata e condannata per le sue passioni terrene. Il denso aggruppamento dei corpi delle quattrocento figure si sviluppa su un cielo piatto con un drammatico rotatorio delle masse. A differenza delle decorazione della volta, sostenuta dalla pittura di elementi architettonici, nel Giudizio Universale la composizione è strutturata solo mediante i gruppi dei personaggi. Gli angeli apteri per l’importanza dell’opera, per la sua localizzazione e per la committenza, raggiungono l’acme della loro rappresentazione nella Cappella Sistina capolavoro di Michelangelo.
La loro presenza negli affreschi del Buonarroti nella Cappella Sistina
di don Marcello Stanzione
ROMA, venerdì, 21 settembre 2012 (ZENIT.org).- All’apice della parete sulla quale l’artista affresca il Giudizio universale (1535-1541, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani, Cappella Sistina) troviamo, nelle due lunette superiori, due gruppi di angeli senza ali recanti i simboli della Passione di Cristo.
In particolare, nella lunetta di sinistra, un gruppo di angeli con movimenti rotatori, articolati e ampi sorregge in volo la croce seguito da una nutrita schiera di creature celesti che, in tal modo, sottolineano la profondità e la prospettiva e, insieme, risultano un complesso e ardito studio di intrecci di anatomie e di drappeggi in volo. Ogni angelo assume una posizione diversa intorno alla croce, mentre, poco lontano, un altro gruppo angelico, attraverso uno scambio di sguardi, si lega al primo e si fa portatore della corona di spine.
Gli angeli, tutti apteri - a suo tempo, singolarità accusata di eresia come molte altre soluzioni adottate da Michelangelo nella decorazione della Cappella Sistina - ritornano nella lunetta di destra, nella quale portano in trionfo la colonna alla quale Cristo è stato legato e flagellato, mentre un angelo dal manto arancione, reca la canna con in cima la spugna imbevuta di aceto con la quale è stato dato da bere a Gesù sulla Croce, in questo modo, Michelangelo, riduce la scelta dei simboli della Passione a soli quattro elementi: croce, corona, colonna, canna. Rispettivamente la croce della lunetta di sinistra è inclinata verso destra, mentre la colonna della lunetta di destra è inclinata verso sinistra: un gioco di corrispondenze simboliche e di bilanciamenti formali che trova la sua simmetria nella figura di Cristo e nella diagonale delle sue braccia. La correlazione e l’interdipendenza tra i gruppi angelici, ben distinti dalle correnti umane dei beati e dei dannati, poi, trova il suo equilibrio negli angeli tubicini posti sotto la figura del Redentore, ispirazione derivante dall’Apocalisse di Giovanni, nella quale si narra che ai sette angeli, ritti dinanzi a Dio, furono date sette trombe e al suono di ognuna corrispose un segno disastroso ed inequivocabile della fine dei tempi. Due angeli sorreggono altrettanti libri: il primo, piccolo, ad annoverarne lo scarso numero, è rivolto verso i beati e la loro ascesa, il secondo, davvero voluminoso, è girato verso i dannati considerati una moltitudine.
Ancora, nella parte destra, angeli apteri alquanto risoluti (insieme a demoni apteri), ricacciano i dannati all’inferno - nel momento in cui questi, non accettando la loro condanna, tentano di risalire al cielo nonostante le caratteristiche dei sette peccati capitali siano in loro evidenti (la borsa dell’avaro, l’inerzia dell’accidioso, il digrigno dell’iracondo, etc.) -, mentre a sinistra aiutano i beati, a volte increduli e titubanti, a salire verso la Grazia, infine, nella Resurrezione dei corpi, angeli e demoni si contendono le anime appena risorte.
A ben vedere non solo il Giudizio universale, ma tutta la volta della Cappella Sistina pullula di angeli apteri: nella Cacciata dal Paradiso l’arcangelo in fluttuanti vesti rosse allontana, severo e impassibile con spada sguainata, i progenitori dall’Eden, mentre il suo volto e la sua posizione fa da pendant a Lucifero che, nel Peccato originale, con le stesse fattezze del viso, ma con busto di donna terminante in coda di serpente (molto probabilmentela Lilith degli apocrifi), dona i frutti proibiti, nella fattispecie fichi, ad Adamo ed Eva.
E ancora, nella Creazione di Adamo, i dodici angeli che accompagnano Dio sono trasportati, come da un turbine, come da un vento divino al quale si abbandonano, col quale sembrano essere in sinergia totale. Tra questi dodici angeli apteri, diversamente interpretati quali i mesi, le tribù d’Israele ed altro, se ne scorge uno di straordinaria bellezza che ha il privilegio di sorreggere Dio in un tenero “abbraccio”. Si è, quindi, ipotizzato che questo angelo prediletto possa essere Maria, scelta dall’inizio dei tempi e preservata dal peccato, in questo caso il bambino che le si attacca alle gambe sarebbe il piccolo Gesù, toccato a sua volta da Dio. Se ne deduce, quindi, che amorevolmente e nel medesimo istante, il Creatore sfiorerebbe, con lo stesso gesto, i suoi due figli: Adamo e Gesù e con il tocco delle dita offrirebbe al primo la vita, nonché già il perdono e la redenzione incarnata nel Bambino. L’angelo-Maria sorregge Dio “fisicamente” come era accaduto nella Pietà vaticana, nel Tondo Doni, ipotizzerei, a tale proposito, una forte valenza del messaggio e del dogma mariano ancor più che cristologico.
Il Concilio tridentino criticò aspramente molte delle novità iconografiche apportate da Michelangelo nella realizzazione della Cappella Sistina che, abbandonando la costruzione prospettica del Quattrocento, inseriva in un cielo lapislazzuli senza riferimenti spazio-temporali, beati e santi nudi e privi di aureole, Cristo imberbe, alternava sibille a profeti e moltiplicava gli angeli apteri. Ma per Michelangelo fondamentale fu sempre l’invenzione, considerata l’elemento trascendentale dell’arte, contrapposto alla manualità insita nella scultura e nella pittura; l’affermazione di non seguire forme e modelli preesistenti, ma comprendere e applicare l’immaginazione, la potenza della creazione “nuova”, agli occhi dell’artista nobilitava e sublimava qualunque forma d’arte. Egli, poi, inneggiò, sempre, alla bellezza e alla perfezione dell’uomo, memore della filosofia platonica, appresa alla corte di Lorenzo il Magnifico, che, creando una gerarchia di esseri che dagli elementi inanimati giungeva alle essenze celesti, poneva l’uomo al grado estremo tra la terra e il cielo.
La riscoperta dell’antico, attraverso l’archeologia che fu prerogativa dell’Umanesimo e poi del Rinascimento, mostrava come, la scultura classica attraverso la resa accurata dell’anatomia, elogiasse la magnificenza del movimento e la solennità stante dell’essere umano, la sua ineguagliabile perfezione. E Michelangelo che molto aveva studiato e apprezzato la scultura degli antichi unì, dunque, l’invenzione alla bellezza, egli stesso fu divino perché non copiò ma creò forme perfette. Il sincretismo di miti pagani e temi cristiani, che animò le discussioni degli uomini di cultura del tempo, fu alla base della ricerca della bellezza in Michelangelo, fu ispirazione dell’invenzione, fu la base di una filosofia che volle vedere agire l’amore universale ed eterno sommando forze della natura e idee ultraterrene. Questi angeli senza ali risultano araldi di tutto questo: elogio dell’invenzione e della bellezza umana, unito all’ammirazione per la classicità, alla preferenza data al sincretismo e ad uno studio degli apocrifi, sono creature immaginate quali riflessi apteri dell’intuizione e della creazione del genio michelangiolesco che, già quarant’anni prima, smaterializzava in piccoli tocchi le ali dell’angelo protagonista della tavola, incompiuta, detta Madonna di Manchester.