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giovedì 7 maggio 2015

Manzoni «moderato»? Ma se era a favore della rivolta di Spartaco...

A cura di Alfonso Berardinelli
 
 
Da anni, anzi da decenni, non trovavo antologizzato, riproposto un qualche testo di Giovanni Papini, autore sul quale grava un discredito che direi cieco. Autore di un libro intitolato Stroncature (1916), ovviamente scandaloso e intemperante, Papini passò da un giovanile eclettismo ipercritico e distruttivo a una passionale fede cattolica.
Leggo ora in apertura dell'ultimo numero di Vita e Pensiero (luglio-agosto 2014) un saggio che Papini scrisse per la rivista nel 1923, quando aveva poco più di quarant'anni, dedicato a «Manzoni "ribelle" in nome della giustizia». Papini premette che i Promessi Sposi non sono un libro da leggere a scuola, perché per capirlo bisogna aver raggiunto l'età adulta. Lui stesso da giovane non lo capì, influenzato da un giudizio sbrigativo di Carducci, secondo il quale il messaggio centrale del romanzo sarebbe un invito alla prudenza e alla moderazione che consigliano di non «pigliar parte alle sommosse» perché si rischia troppo.
Fermamente e pacatamente, Papini rovescia questa idea tuttora piuttosto diffusa, mostrando che fra l'illuminismo e il cristianesimo di Manzoni esiste una precisa continuità ispirata da un forte senso di verità e giustizia in difesa degli oppressi. In proposito Manzoni parla chiaro soprattutto nel colloquio del cardinal Federigo Borromeo con Don Abbondio, a cui rimprovera di essersi sottratto al dovere di difendere i due giovani sposi promessi non sfidando il «potente prepotente» Don Rodrigo «a costo d'ogni pericolo».
È nota l'avversione di Manzoni per la Rivoluzione francese. Eppure «non è senza significato – dice Papini – che il Manzoni vecchio dedicasse l'ultime forze a un'apologia della Rivoluzione italiana (…) perché egli non combatte per principio le rivoluzioni, che riconosce in determinati casi necessarie, ma i mezzi che i rivoluzionari francesi adottarono per giungere al loro fine».
Ma l'argomento più forte usato da Papini è questo: poco prima di dedicarsi al suo romanzo, Manzoni «raccoglieva materiali e appunti per una terza tragedia» (dopo il Conte di Carmagnola e l'Adelchi) «e questa tragedia avrebbe avuto come eroe il simbolo dell'insurrezione contro l'ingiusto dominio: Spartaco».

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